Cercando storie, informazioni e aneddoti sulla nostra splendida città, L’Aquila, mi sono imbattuta in un fatto che forse qualcuno di voi conosce.
Inizia così: «Il martellamento ritmico dei picconi degli spagnoli provenienti dalle rovine di Amiternum riecheggiava tra le ancora innevate colline che corollano la valle dell’Aterno. L’antichissima e nobile città sabina era stata razziata di ogni cosa trasportabile, compreso gli imponenti leoni in marmo dei templi ed il famoso calendario amiternino. Un tonfo sordo del ferro incuriosì uno degli uomini. Dal terreno di Amiternum gli spagnoli estrassero uno scrigno. […]. Il singolare rinvenimento fece pensare subito ad un tesoro, a monete d’oro sonante, a preziosi gioielli custoditi da secoli all’interno del forziere. Come scatole cinesi, una volta rotto avidamente l’involucro in pietra, […] per la delusione degli spagnoli, solo alcun rotoli di pergamene scritte in ebraico. Quando poi, tra i rotoli, si riscontrò che uno conteneva la sentenza di condanna di morte emessa da Ponzio Pilato, lo sbigottimento fu immenso. Si pensò allo scherzo tanto che la pergamena fu detta apocrifa».
È con queste parole del 1674 contenute in “Notizia di Pilato e dei suoi iniqui gesti” del dottor Gregorio Motillo (o Motilli), che la storia delle pergamene di Ponzio Pilato è giunta a noi. Motillo, che dedicava il suo scritto a Michele Muscettola, illustre personaggio del Regno di Napoli, racconta del giorno 25 marzo 1580, quando da pochi anni Carlo V aveva fatto edificare il suo forte sulle ceneri di un quartiere dell’Aquila per vendicare la rivolta dei suoi abitanti contro il potere assoluto della Spagna, allora potenza incontrastata.
Carlo V aveva lasciato il trono a suo figlio Filippo II e gli spagnoli stavano scavando nella zona dove sorgeva Amiternum antica, che una volta era stata una grande città, Sabina prima, romana poi. Tutto il territorio era sotto il controllo spagnolo.
La presunta sentenza di Pilato risulterebbe un falso trascritto in epoca successiva il cui originale è andato perduto. Tuttavia, una copia è conservata nell’archivio di Simancas, uno dei cinque Archivi di Stato di Spagna.Data la mia curiosità, ho contattato l’archivio di Stato di Simancas: mi ha risposto un suo funzionario rimandandomi ad una spiegazione che il direttore dell’Archivio, José Marià Burrieza, aveva dato il 9 aprile 2020 su Twitter, proprio su questa strana storia.Il direttore ci scherza un po’ su sostenendo che nel suo archivio «è contenuto forse il più antico documento al mondo (ad eccezion fatta per gli archivi segreti vaticani, aggiunge), una pergamena del 33 d.C.».
Il direttore dell’Archivio di stato di Simancas continua col dire che: «Pare che l’originale, in una pergamena, sia stato ritrovato a L’Aquila, nel Regno di Napoli, dopo un terremoto, all’interno di una scatola d’avorio e poi in una scatola di ferro. La pergamena però non fu mandata a Filippo II nel suo originale, ma pare che gli sia giunta solo una copia tradotta nell’italiano dell’epoca. Conclusione: considerando l’interesse di Filippo II per cimeli e miracoli, non è irragionevole pensare che si sia trattato di un grossolano tentativo di ottenere i soldi per la ricostruzione della città dell’Aquila dopo il terremoto».
E’ praticamente certo che la sentenza di morte di Ponzio Pilato sia un falso, come afferma il direttore dell’archivio di Stato di Simancas, creato ad arte dagli aquilani per ottenere fondi per la ricostruzione dopo il terremoto.
Esistono comunque alcune leggende che narrano che Ponzio Pilato fosse nato ad Amiternum e che il territorio circostante sarebbe legato anche all’ultima parte della sua vita: il corpo del procuratore, dopo la condanna a morte decisa dall’imperatore Tiberio, sarebbe stato lasciato insepolto e, chiuso in un sacco, affidato ad un carro di bufali lasciati liberi di peregrinare senza meta, precipitando nel lago di Pilato, sui Monti Sibillini a circa 50 km da Amiternum, dall’affilata cresta della Cima del Redentore, come ulteriore punizione. Inoltre sembra che Pilato possedesse una villa nel luogo detto oggi Montagna di Pilato, pressoSan Pio di Fontecchio.
Certo è che, questa come altre storie, rendono l’idea di quanto L’Aquila fosse viva e parte integrante della storia europea. Luisa Di Fabio, CulturAQuila